LA PINETA E L'ORO BIANCO
Per Ravenna ed i suoi abitanti, le pinete hanno un profondo significato storico e culturale e, seppure fortemente ridotte rispetto all'antichità, conservano ancora oggi tutto il loro fascino, distinguendosi come elemento predominante del paesaggio costiero dalla foce del fiume Reno fino a Cervia. Molti degli ambienti racchiusi al loro interno, piccoli tratti di dune attive, dune relitte consolidate coperte di boscaglia, prati aridi e bassure umide, rappresentano lembi residuali di habitat ormai non più riscontrabili lungo quasi tutto il litorale adriatico.
Le attuali pinete si estendono su cordoni dunosi depositatisi a partire dal XII secolo, ma l'introduzione del pino domestico è molto più antica; in epoca augustea infatti, questa pianta originaria delle coste mediterranee, veniva impiegata per la costruzione delle navi della flotta romana di stanza nei porti ravennati, in particolare a Classe. Oltre a questi preziosi "polmoni verdi", anche le Saline di Cervia sono zone protette di grande valore storico e ambientale. Queste preziose riserve del cosiddetto oro bianco, nel passato merce di scambio di strategica importanza, oggi sono molto rinomate in quanto costituiscono la Porta Sud del Parco del Delta del Po. Le Saline, tutt'ora produttive, oltre a riproporre l'antico ciclo del sale, ospitano complesse comunità biologiche, specie animali e vegetali che vivono in habitat così estremi da richiedere particolari forme di adattamento.
RAVENNA: IL TESORO DI BISANZIO
Ravenna, piccola colonia romana adagiata sul litorale adriatico e protetta alle spalle da un’ampia laguna paludosa a guisa di difesa, divenne grande protagonista nell’anno 402, quando l’Imperatore romano d’Occidente Onorio la elesse capitale dell’impero; poco distante stabilì una delle due basi navali imperiali, le classis, da cui Classe trasse il proprio nome. La città si arricchì di magnifici palazzi, ma la crisi dell’Impero lasciò la strada aperta a popoli barbarici che insediarono la loro capitale. Furono i Goti del grande Teodorico a fare di Ravenna la capitale del loro regno (493-526). Fiorirono quindi i celebri palazzi e i luoghi di culto del cristianesimo ariano. Dopo la successiva guerra gotica, nuovi edifici trasformarono il volto della città in un grande tesoro bizantino. Nel 751 la città cadde definitivamente nelle mani dei Longobardi. La grande stagione era così terminata; per secoli la città rimase un piccolo centro feudale signorile e, successivamente, divenne una colonia di Venezia. Quest’ultima occupazione segnò la nascita di un nuovo tessuto urbano dando vita all’odierna città. Divenne poi una provincia dello Stato della Chiesa (le Romagne) fino all’Unità d’Italia.
Oggi Ravenna mostra, ancora fiera, i tesori del suo passato inseriti nell’elenco del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Se la sua storia l’ha resa celebre al mondo, le sue spiagge e le sue pinete le donano ulteriore bellezza e richiamano ogni anno molti turisti attratti anche dalle moderne strutture turistiche e parchi tematici, per una vacanza che unisce cultura, benessere, relax, gastronomia e divertimento.
LE PINETE RAVENNATI: DOVE ACQUA E TERRA SI INCONTRANO
La Pineta di San Vitale è composta da radure, solitamente aride, che si aprono nel mezzo della foresta di pini, di frassini, di pioppi bianchi e di farnie, molti dei quali vegetano con la base del tronco immersa nell'acqua. La presenza del Pino domestico, di Pioppo nero e di salici è dovuta alle attività di rimboschimento, avvenute nei tempi antichi e in quelli più recenti. Il sottobosco è ricco di Biancospino, Prugnolo, Sanguinella, Ginestrella, Pungitopo, Asparago selvatico e funghi. In questo mosaico di natura, alle pinete si alternano bassure palustri e valli d’acqua dolce, chiamate pialasse, ampie lagune salmastre a contatto con il mare tramite canali, con acque a bassa profondità e fondali limoso-argillosi. Le pialasse si sono formate a partire dal Rinascimento e devono le loro caratteristiche e l’attuale assetto in gran parte all’azione umana; esse racchiudono un campionario pressoché completo di successioni sublitoranee a diverso gradiente di umidità e salinità. La porzione del sito, nella parte più a sud, è considerata Zona Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar.
L'ampia laguna, debolmente salmastra, rappresenta il principale ambiente di alimentazione per le specie coloniali nidificanti di Punte Alberete e Valle Mandriole, quali Garzetta, Sgarza ciuffetto, Airone bianco maggiore, Spatola, Mignattaio, Marangone minore, Cormorano e Mignattino piombato, oltre che per una ricca avifauna migratrice.
ORTAZZO, ORTAZZINO E LA FOCE DEL BEVANO
È uno dei siti con maggiore diversità ambientale in ambito litoraneo della Regione Emilia-Romagna. In esso rientrano la foce del Torrente Bevano, ultimo estuario meandriforme dell'alto Adriatico libero di evolvere naturalmente, ben cinque chilometri di dune costiere attive, con alle spalle la pineta litoranea a Pinus pinaster e il sistema di zone umide perifluviali salmastre dell'Ortazzino e dell'Ortazzo. Il sito comprende anche la fascia marina costiera per circa 300 metri di larghezza. La foce del Bevano occupa un’area di circa 40 ettari e testimonia, con i suoi equilibri tra acque e sabbie, fra maree e portate fluviali, la morfologia della fascia costiera regionale prima dei massicci interventi antropici.
L’area ad ovest della foce, detta Ortazzino, comprende i meandri fossili del Bevano, con parte delle dune costiere, i retrostanti prati umidi salmastri con falda affiorante e prati aridi dominati da Ginepro comune e Olivello spinoso. In questo complesso di zone umide e dune aride sono presenti quasi tutti i tipi di vegetazione alofita nord adriatica, dai salicornieti annuali e perenni, agli spartinieti e giuncheti marittimi, al puccinellieto. Alle spalle delle dune si trovano le pinete demaniali, sezioni Ramazzotti e Savio, create alla fine del XIX secolo sul cordone litoraneo di più recente formazione, con lo scopo di proteggere le colture retrostanti dai venti marini. Le pinete artificiali sono state sovrapposte all’originaria vegetazione arbustiva tipica delle dune consolidate che, in parte, rimane nelle fasce marginali e nel sottobosco.
PUNTE ALBERETE E VALLE MANDRIOLE: LE MERAVIGLIE DELLA PALUDE
Punte Alberete e Valle Mandriole rappresentano gli ultimi esempi di palude d'acqua dolce, relitti delle foreste paludose meridionali della Valle Padana. Si originarono dalle complesse vicende idrauliche del fiume Lamone, che fino al XIV secolo non aveva un corso ben definito e mancava di uno sbocco diretto al mare: le sue acque, infatti, si disperdevano in una vasta distesa di valli. Il Governo Pontificio (1839) predispose la costruzione di un’ampia cassa di colmata destinata a raccogliere le acque del fiume ed il materiale trasportato durante i periodi di piena, impedendo così il loro dilagare nella circostante pianura coltivata e favorendo, nel contempo, la bonifica dell'area paludosa. Il complesso vallivo posto a nord del fiume prende il nome di Valle Mandriole (o della Canna) ed è una valle d’acqua dolce caratterizzata da specchi d’acqua alternati a dossi ricoperti da fitti canneti. A sud dell’oasi è presente una torretta di avvistamento dalla quale è possibile osservare i numerosi uccelli acquatici che vi sostano o nidificano.
Il comprensorio posto a sud del fiume Lamone prende il nome di Punte Alberete; l’oasi è una foresta allagata di grande suggestione paesaggistica per l’alternarsi di ambienti di bosco igrofilo, più o meno inondato, praterie sommerse, “chiari" aperti e flora e fauna tipiche di ambienti palustri di varia profondità idrica. Flora protetta e nidifi cazioni molto rare ed importanti si trovano soprattutto in "garzaia" e nei canneti. Residuo dell'antica cassa di colmata del fiume Lamone, il biotopo rappresenta un esempio di evoluzione naturale "guidata".
LA TERRA DEL SALE
Fin dalla preistoria, le coste basse e argillose dell’alto Adriatico, soggette all’alta marea, erano caratterizzate da saline naturali in cui l’acqua del mare, esposta al sole cocente, lasciava depositare i suoi sali. Anche la Salina di Cervia è una struttura antichissima, di probabili origini etrusche, testimonianza dell’interazione tra le forze della natura e l’attività umana. Porta di accesso a sud e stazione del Parco del Delta del Po, la Salina si estende parallelamente alla costa su una superficie di 827 ettari, disegnando un complesso di canali, specchi d’acqua, piccole paratoie e bacini per la produzione del sale. Abbracciata da un canale perimetrale lungo più di 14 chilometri, è collegata al mare da un canale immissario e da uno emissario. Dal 1959 il sistema di lavorazione industriale ha sostituito il precedente sistema artigianale a raccolta multipla: le circa 150 piccole saline allora in funzione, furono sostituite da una decina di grandi bacini.
Col tempo si affermò sempre più la consapevolezza che la salina potesse offrire a tutti una nuova ricchezza: il suo grande valore ambientale. È considerata un ambiente di elevatissimo interesse naturalistico e paesaggistico, tanto da essere stata inserita nella convenzione di Ramsar come Zona Umida di Importanza Internazionale; dal 1979 è divenuta Riserva Naturale dello Stato di popolamento animale. Sotto il profilo avifaunistico l’ambiente delle saline è popolato da specie come il Fenicottero rosa, il Cavaliere d’Italia, l’Avocetta, e aironi tipici del Delta del Po. Grazie alle sue caratteristiche è zona di sosta e nidificazione per numerose specie di uccelli che occupano i piccoli argini e gli isolotti che si formano all’interno delle vasche.